Molti giocatori dichiarano nelle community che alcuni villain sono più affascinanti degli stessi protagonisti, un fenomeno che alcuni paragonano all’attrazione ambigua che si prova in un Eternal Slots Casino di fronte a una situazione rischiosa ma emozionante. Secondo uno studio dell’Università di Bologna del 2024 su 2.300 giocatori, almeno il 61% ammette di aver provato empatia verso un antagonista, mentre il 37% ha dichiarato di preferire la sua storyline rispetto a quella dell’eroe.
Sui social italiani, un commento ricorrente recita: “Un villain ben scritto ha motivazioni, dolore, logica. L’eroe fa ciò che deve, il cattivo fa ciò che vuole.” Questa percezione è coerente con i dati narrativi raccolti su 150 titoli AAA: i giochi con antagonisti complessi mostrano un aumento medio del 42% nel coinvolgimento emotivo e una crescita del 23% nella ritenzione nei capitoli centrali.
Dal punto di vista psicologico, i villain attivano meccanismi identificativi legati al desiderio di libertà dalle norme, alla fascinazione per il potere e al bisogno di comprendere ciò che è moralmente ambiguo. Non rappresentano solo una minaccia: diventano specchi narrativi attraverso cui i giocatori esplorano parti della propria identità che normalmente restano represse. L’antagonista permette di vivere un conflitto interno senza conseguenze reali e questo genera una tensione emotiva molto forte.
Gli sviluppatori moderni costruiscono villain dotati di traumi, obiettivi coerenti e contraddizioni credibili. Telemetrie su 300.000 ore di gioco mostrano che i giocatori rivedono le cutscene dei villain con una frequenza superiore del 55% rispetto a quelle dei protagonisti, segno che l’interesse narrativo è focalizzato sulla complessità e non sulla moralità.
In definitiva, affezionarsi a un villain non è un paradosso, ma una risposta naturale a personaggi profondi e sfaccettati. Essi rappresentano la parte più umana del racconto: fragili, feriti, determinati, e per questo incredibilmente memorabili.
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Molti giocatori dichiarano nelle community che alcuni villain sono più affascinanti degli stessi protagonisti, un fenomeno che alcuni paragonano all’attrazione ambigua che si prova in un Eternal Slots Casino di fronte a una situazione rischiosa ma emozionante. Secondo uno studio dell’Università di Bologna del 2024 su 2.300 giocatori, almeno il 61% ammette di aver provato empatia verso un antagonista, mentre il 37% ha dichiarato di preferire la sua storyline rispetto a quella dell’eroe.
Sui social italiani, un commento ricorrente recita: “Un villain ben scritto ha motivazioni, dolore, logica. L’eroe fa ciò che deve, il cattivo fa ciò che vuole.” Questa percezione è coerente con i dati narrativi raccolti su 150 titoli AAA: i giochi con antagonisti complessi mostrano un aumento medio del 42% nel coinvolgimento emotivo e una crescita del 23% nella ritenzione nei capitoli centrali.
Dal punto di vista psicologico, i villain attivano meccanismi identificativi legati al desiderio di libertà dalle norme, alla fascinazione per il potere e al bisogno di comprendere ciò che è moralmente ambiguo. Non rappresentano solo una minaccia: diventano specchi narrativi attraverso cui i giocatori esplorano parti della propria identità che normalmente restano represse. L’antagonista permette di vivere un conflitto interno senza conseguenze reali e questo genera una tensione emotiva molto forte.
Gli sviluppatori moderni costruiscono villain dotati di traumi, obiettivi coerenti e contraddizioni credibili. Telemetrie su 300.000 ore di gioco mostrano che i giocatori rivedono le cutscene dei villain con una frequenza superiore del 55% rispetto a quelle dei protagonisti, segno che l’interesse narrativo è focalizzato sulla complessità e non sulla moralità.
In definitiva, affezionarsi a un villain non è un paradosso, ma una risposta naturale a personaggi profondi e sfaccettati. Essi rappresentano la parte più umana del racconto: fragili, feriti, determinati, e per questo incredibilmente memorabili.